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La vita è sempre una sciagura per coloro che provano sentimenti (…) quando la mia felicità mi sarà data, la vita diverrà qualcosa di ineffabile e privo di nome.
Sono queste le parole con le quali Mary MacLane invita senza paura i lettori nelle profondità della sua mente giovane e inquieta, offrendo uno sguardo affascinante e non convenzionale del suo mondo snocciolato in L’attesa del Diavolo. Pubblicato nel 1902 (edito per la prima volta in Italia da Ago Edizioni nel 2024) quando aveva appena 19 anni, il lavoro autobiografico dell’autrice sfida le norme sociali ed esplora temi che erano considerati audaci e provocatori per l’epoca. Mary MacLane è infatti una ragazza che ha appena finito il liceo in cui ho svolto il ruolo di redattrice della rivista scolastica e, come qualsiasi altra donna di quel periodo, sente di non poter coltivare nessuna particolare aspirazione per il futuro. Tuttavia, è consapevole di avere un eccellente talento per la scrittura e non ha alcuna intenzione di sprecarlo. Vive isolata, preda della monotonia di una cittadina del Montana, incatenata alle rigide norme sociali dell’epoca e sente di dover fare qualcosa per cambiare la realtà in cui vive, decidendo così di scrivere un testo sovversivo. Traccia perciò un ritratto di parole, come lei stessa lo definisce, in cui descrive minuziosamente, giorno per giorno, tre mesi della sua vita, senza una narrazione organica, con uno stile di scrittura non convenzionale con la sua mancanza di aderenza alle norme grammaticali e la punteggiatura che provocherebbe una crisi di nervi in qualsiasi professore di lettere. Tuttavia essa è un instrumentum regni, un riflesso del suo spirito ribelle. Non è un diario, non è un romanzo, non è un trattato filosofico, non è un poema o un manifesto femminista, ma un testo che si pone al crocevia di queste differenti forme, divenendo un’opera non incasellabile in nessuna categoria letteraria.
Ciò che distingue questo libro è l’onestà senza scuse e il rifiuto di conformarsi alle aspettative imposte alle donne nel suo tempo: l’autrice mette a nudo la sua anima, condividendo i suoi desideri più profondi, le frustrazioni e le meditazioni esistenziali, confessando di essere stata una piccola creatura selvaggia che voleva essere amata, che voleva qualcosa per riempire il suo piccolo cuore affamato, ma nessuno poteva sfamare il suo piccolo cuore. L’attesa del diavolo è infatti un manifesto all’oppressione delle donne nella società americana, bigotta e repressiva, dell’epoca. L’autrice invidia la condizione maschile che permette di avere la propria carne protetta, con un’aspra critica dichiara di avere la personalità, la natura di un Napoleone, seppure in una versione femminile. Ed è proprio il grande imperatore francese che l’autrice ammira, considerandolo un incredibile, magnifico e ineguagliabile uomo d’acciaio, sviluppando una passione quasi feticista nei confronti del condottiero; l’autrice ne colleziona i ritratti, ben diciassette, e li contempla arrivando al punto di desiderare di diventare sua moglie, innamorandosene in una sagace satira.
Uno dei punti di forza di è la vivida rappresentazione del desiderio della MacLane di libertà, individualità e di emancipazione sessuale. Sfida coraggiosamente i confini dei ruoli di genere e delle aspettative sociali, urlando il suo amore per il Diavolo: quale potrebbe essere per lei e per il suo bel corpo femminile il miglior amante se non il Signore degl’Inferi? Esso riflette i concetti di forza e potere, ma non è tuttavia una figura da temere: è gentile e amabile, è colui che ha creato il mondo e che le ha donato la sua personalità ed incarna quindi l’ideale di donna che l’autrice vorrebbe vedere nella società. Le sue parole risuonano con un desiderio senza tempo di autonomia personale e di espressione di sé.
La scrittura della MacLane è permeata di emozioni sincere, di passione non filtrata e di un senso di urgenza. I lettori sono catapultati nel suo intenso mondo interiore, vivendo i suoi trionfi e tribolazioni al suo fianco. Mentre alcuni potrebbero trovare la sua voce abrasiva o non convenzionale, c’è una qualità indiscutibilmente affascinante nella sua autentica espressione di sé: L’attesa del diavolo è un libro terribilmente affascinante.
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Molti critici ritengono che l’arte in Costa Rica sia ancora in fase di sviluppo, per alcuni paesi dell’America Latina, l’arte è il prodotto della sofferenza e delle tensioni sociali vissute dalla popolazione.
La scena artistica è in continua crescita in Costa Rica di seguito alcuni artisti famosi come Gonzalo Morales Saurez, Rafa Fernández, Fernando Carballo, e scultori come Ibo Bonilla e Jorge Jimenez Deredia fanno apprezzare l’Arte in Costa Rica e nel resto del Mondo.
La Costa Rica rappresenta un mosaico culturale prodotto dalle forti influenze di diverse mescolanze tra gruppi etnici, costumi e tradizioni folcloristiche, attraverso le quali si integrano la cultura spagnola, portata dai colonizzatori; le culture dei nativi americani e caraibici, proprie del loro enclave geografico; la cultura africana, portata dagli schiavi e quella giamaicana, proveniente dall’immigrazione, legata alla costruzione della ferrovia e alle piantagioni di banane; la cultura della pampa guanaca e quella tipica dei campesinos agricoltori.
D’altronde questo Paese ha una vita culturale moderna, incentrata attorno al cinema, al teatro, alla danza, ai concerti, alle biblioteche e ai numerosi musei sparsi per il Paese.
Il collettivo artistico della Costa Rica “MerchArt”, rappresentato dalla sua direttrice Irene Antillón, espone tre mostre in tre diverse città d’Italia: la prima sarà l’8 maggio 2024, presso la prestigiosa Organizzazione Internazionale Italo-Latino Americana (IILA) a Roma, dove 27 artisti costaricensi riuniranno le loro opere per condividerle con il pubblico italiano, la mostra è intitolata “PITTORI STRANIERI – Costa Rica”. La seconda e la terza mostra si terranno rispettivamente il 10 maggio presso la Galleria Santa Chiara del CIVICO 25 ad Assisi e il 18 maggio presso il Museo Diocesano e Capitolare di Terni, entrambe sotto il titolo “ITALIA CHIAMA COSTA RICA”.
Tutte e tre vedranno la partecipazione di altri 33 artisti. Con un totale di 60 pittori, la cui partecipazione è stata dichiarata di interesse culturale dal governo costaricense, uniranno le loro energie e i loro talenti per mostrare la ricchezza dell’arte costaricense.
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Il 7 e l’8 maggio al Teatro Parioli – Costanzo andrà in scena “Conversazioni dopo un funerale” di Yasmina Reza con regia di Filippo Gentile. Quest’ultimo si è formato con un attento lavoro svolto negli anni, dietro le quinte di grandi produzioni teatrali e affiancando – al cinema – Luca Miniero e Cristina Comencini. In scena: Simone Guaranì, Andrea Ottavi, Andrea Venditti, Francesca Antonucci, Valeria Zazzaretta, Lucia Rossi. Il testo è stato riconosciuto con il Premio Molière conferendo a Yasmin Reza il riconoscimento di miglior autrice.
L’opera in scena testimonia una grande capacità di far intuire allo spettatore, mediante gesti minimi e scambi di occhiate, gli stati d’animo dei personaggi e le dinamiche che si stabiliscono tra loro. Sotto la regia di Filippo Gentile, si riuniscono tragico e comico, serio e faceto, la morte e l’amore, la parola e il silenzio. Un testo dal quale viene cestinato tutto il superfluo, quel superfluo che l’autrice non aveva mai amato. Un ritmo preciso e delineato da pochi elementi come le pause o il buio. Nella parola di Yasmina Reza troviamo la grande capacità di far intuire allo spettatore gli stati d’animo dei personaggi, e le dinamiche che si stabiliscono tra loro, mediante gesti piccoli o scambi di sguardi; e poi la grande capacità di incastonare alla perfezione tutti i pezzi, innescando abilmente l’intreccio tra il registro comico e quello tragico.
Simon Weinberg è morto. Una mattina di novembre viene sepolto nella tenuta di famiglia, secondo le sue ultime volontà. Il giorno del funerale, i tre figli si ritrovano nella tenuta di famiglia, per celebrare il rito. Insieme a loro lo zio, la sua nuova moglie e l’ex compagna di uno dei fratelli. Conversazioni dopo un funerale si svolge in quel tempo sospeso tra liturgia dell’assenza e celebrazione della vita. Ed è proprio in quella sottile intercapedine tra i due stati d’animo, che si vanno a risvegliare conflitti latenti, antiche gelosie, dolori e rancori la cui rimozione ha provocato piaghe mai rimarginate. Il velo sui segreti di famiglia si solleva a poco a poco davanti agli occhi dello spettatore, fino alla catarsi.
L’orario di entrambe le repliche sarà alle 21:00. Il botteghino sarà aperto dal lunedì al giovedì dalle 10:00 alle 13:30 e dalle 14:30 alle 18:30, mentre il venerdì dalle 10:00 alle 13:30. Il weekend sarà chiuso. La biglietteria, nei giorni di spettacolo serale, dopo le 19.00 resterà aperta fino ad inizio spettacolo solo per le operazioni riguardanti lo stesso. I biglietti si potranno acquistare al botteghino, telefonicamente agli operatori del Teatro Parioli – Costanzo con carta di credito. Inoltre, su online su Vivaticket e presso i punti vendita autorizzati.
I possessori di card libera potranno scegliere il proprio posto a partire dall’12 settembre al botteghino o online nella sezione dedicata. Dopo l’emissione non sarà più possibile sostituire o annullare singoli biglietti e biglietti di card. Per portatori di handicap che al momento dell’acquisto attestano l’invalidità, è prevista una di riduzione del 20% circa. Per i disabili in carrozzina sono previsti posti dedicati. Si consiglia la prenotazione telefonica con qualche giorno di anticipo. Il teatro non è provvisto di ascensore, l’accesso in platea per i disabili in carrozzina è fruibile tramite montascale.
Le riduzioni sono riservate agli under 26, over 65, ad esclusione del weekend e dei giorni festivi e prefestivi. Sono previste ulteriori riduzioni su abbonamenti e biglietti per Cral, Scuole, Gruppi, Associazioni convenzionate, contattando l’Ufficio Promozione del Teatro. La direzione si riserva il diritto di sospendere le riduzioni.
Contatti: Maya Amenduni – Capo Ufficio Stampa Teatro Parioli – 392 8157943 – mayaamenduni@gmail.com
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Per la legge dei grandi numeri, i tifosi romanisti speravano di essere i prescelti per interrompere una striscia positiva che dura da ben 42 partite. Un record incredibile, per una squadra eccezionale, in una stagione straordinaria. Il Bayer Leverkusen arriva all’Olimpico fresco della prima Bundesliga ottenuta e un “Mini – triplete” da voler conquistare. Una squadra allenata dal, forse, miglior allenatore al mondo tra la “new generation” (De Rossi, Thiago Motta, Xavi, ecc.…), ovvero l’ex Real Madrid, Xabi Alonso. I dati della squadra tedesca sono impressionanti: possesso palla altissimo, massima velocità e intensità nel recupero palla e individualità di grande talento. La Roma, immischiata in un tour de force atroce da cui dipende il futuro della società, crolla, davanti ai suoi tifosi, perdendo 0 – 2 rendendo difficilissimo, se non impossibile, un’eventuale rimonta in terra tedesca. La partita inizia con un discreto equilibrio, con occasioni importanti e azioni pericolose. Prima il colpo di testa di Lukaku che finisce sulla traversa, poi il goal divorato da Frimpong lanciato, da solo, contro la porta della Roma. Al 28’ arriva il primo goal del match: Karsdorp dopo un ottimo recupero, compie un retropassaggio da horror, regalando la palla agli avversari a difesa sgualcita. Il Leverkusen sale in cattedra, assedia la porta di Svilar fino a trovare il raddoppio nel secondo tempo, al 73’, con un goal capolavoro di Andrich. Tiro da fuori imparabile. Gli ultimi quindici minuti, il Bayern, forte di due reti di vantaggio rallenta rischiando di subire goal. Prima, il grande ex Sardar Azmoun, non riesce a tirare su un’invenzione di Lorenzo Pellegrini poi, al 94’, Tammy Abraham dopo un’uscita sbagliata del portiere Kovar, da solo in area di rigore, porta spalancata e in netto anticipo sui difensori avversari, la manda alta e spegne le speranze giallorosse. Una serata amara, difficile da digerire. Una serata in cui gli errori dei singoli diventano fatali e la stanchezza diventa un secondo avversario da dover affrontare. Gli ospiti, invece, hanno saputo capitalizzare i momenti, hanno sfruttato gli errori e hanno trovato la tanto ambita vendetta rispetto allo scorso anno, avvicinando ancora di più la finale di Dublino. Una gara di ritorno difficile ma da affrontare con la speranza e la voglia di chi, come mister De Rossi, sa che nelle notti europee può accadere di tutto.
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Le filiali russe dell’italiana Ariston e della tedesca Bosch verranno nazionalizzate dal Cremlino. La decisione sa già di caso diplomatico. Il decreto è di venerdì scorso. Esso sancisce il “trasferimento temporaneo” delle due aziende alla Gazprom Domestic Systems.
Il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha immediatamente chiesto al segretario generale della Farnesina di convocare l’ambasciatore russo per avere dei chiarimenti in merito.
Facciamo un po’ di chiarezza: Ariston nasce nel 1960 sulle macchine prodotte dalle Industrie Merloni per cucine, scaldabagni, lavatrici, lavastoviglie e frigoriferi. Il marchio nasce per distinguersi dalle altre macchine della Merloni, realizzate per conto terzi, proponendo al mercato apparecchiature innovative e di design. Così, nel giro di pochi anni, l’azienda e si apre ai principali mercati d’Occidente e diventa leader nel settore degli scaldabagni. Dopo esser diventata leader nel settore dei riscaldamenti di ambienti e caldaie, si apre nuove filiali in Europa Orientale e in Asia, acquisendo così Racold negli anni ’90. Inoltre, apre un proprio stabilimento di proprietà in Cina. La vera ascesa, però, inizia a partire dagli anni Duemila. Nel gruppo cominciano a confluire marchi storici dei vari settori di competenza del gruppo Ariston: Chaffoteaux, Elco, Cuenod e Rendamax.
Nel 2011 acquista anche Cipag SA e Domotec AG confermandosi in Svizzera azienda leader nella produzione, distribuzione e mantenimento di sistemi di riscaldamento domestici e per il riscaldamento dell’acqua. Acquista DhE, per poi, nel 2014, completare anche l’acquisizione di ATAG Heating, Heat TechGeysers, aziende leader in Sudafrica nel settore degli scaldaacqua. Nel 2015 acquisce l’azienda danese Gastech-Energi A/S, costituisce la consociata in Indonesia Ariston Thermo e assimila la francese SPM. Nel 2016 la crescita continua senza arrestarsi, l’Ariston acquista il marchio canadese NTI, l’americano HTP e l’israeliano Atmor. Nello stesso anno inaugura un nuovo stabilimento in Tunisia. Tra il 2018 e il 2019 acquisisce il marchio messicano Calorex e nel 2021 firma l’accordo per l’acquisizione dell’israeliana Chromagen e CENTROTEC Climate Systems.
Quale decisione ha appena varato Vladimir Putin? Il presidente del Cremlino ha appena approvato un decreto che trasferirà la gestione dello stabilimento di Vsevolozhsk, a 20 km da San Pietroburgo, nelle mani dellla Gazprom Domestic Systems. Perché? Con l’inizio del conflitto con l’Ucraina, l’azienda italiana aveva interrotto gli investimenti sul sito in questione. Nonostante ciò, lo stabilimento inaugurato nel 2005 continuava a funzionare e lavorare in modo ordinario. Più nello specifico, il decreto approvato da Putin, riguarda la Ariston Thermo Rus e la BSH Household Appliances, rispettivamente controllate da Ariston Holding e BSH Hausgerate GmbH.
Non si tratta di un caso isolato. Dall’inizio della guerra Putin ha preso il controllo delle proprietà di molte aziende occidentali. Il motivo è intuibile: molte imprese russe sono state colpite da pesanti sanzioni occidentali a partire dallo scoppio della guerra; pertanto, Putin ha giustificato questa serie di provvedimenti come ritorsioni verso le azioni degli altri Paesi. Già lo scorso anno si era verificato un episodio simile con le filiere russe di Danone e Carlsebrg. Infatti, poco prima le due aziende avevano annunciato di volersi ritirare dal mercato russo. Attualmente, gli stabilimenti delle due aziende in questione sono nelle mani dell’agenzia federale per la gestione delle proprietà: la Rosimushchestv. Per quanto riguarda l’Ariston, la gestione temporanea è stata passata ad un altro gruppo industriale, pur sempre controllato da Mosca.
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