Che cosa mangeremo tra 30 anni?

Reggetevi forte: tra 30 anni, forse, metteremo in tavola un piatto a base di grilli e locuste, oppure cibo “cucinato” in laboratorio o assemblato da una stampante 3D: gli insetti e gli alimenti sintetici sembrano infatti due delle risposte più probabili alla necessità di dare da mangiare a poco meno di 10 miliardi di umani, quanti si stima saremo nel 2050. Riuscirci aumentando le rese di agricoltura e allevamenti per portare in tavola i prodotti a cui siamo abituati oggi sarà difficile: avrebbe un impatto devastante sugli ecosistemi.

Perché gli insetti saranno il cibo del futuro. Così, già da qualche anno si parla di formiche, bruchi e affini: sono ottime fonti di proteine a basso costo e alcune specie, come la tarma della farina, la locusta migratrice e il grillo domestico, hanno già avuto parere favorevole all’uso umano dall’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (Efsa). Chi li ha assaggiati giura che sono pure buoni, ma certo non sarà facile abituarci perché «mangiare è anche una questione culturale e da noi gli insetti suscitano ribrezzo, ma di certo saranno sempre più usati nei mangimi per gli allevamenti e prima o poi entreranno nell’alimentazione umana trasformati, per esempio sotto forma di farine», dice Andrea Ghiselli, presidente della Società Italiana di Scienze dell’Alimentazione.

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Introdurli non sarà tuttavia banale, disgusto a parte, anche perché, come spiega Ermolaos Ververis, l’esperto di Efsa che ha coordinato il primo parere sugli insetti come nuovi alimenti, «molte allergie alimentari sono connesse alle proteine, per cui si dovrà capire se quelle degli insetti possano scatenarle o dare reazioni con altri allergeni. Inoltre si tratta pur sempre di organismi complessi, dei quali si consumano tutte le parti perciò non è facile caratterizzare la composizione dei prodotti alimentari che ne derivano».

Hamburger in laboratorio. Servirà quindi ancora tempo, ma la strada pare segnata; qualcosa di simile potrebbe accadere anche per i cibi sintetici, dalla carne in provetta ottenuta a partire da cellule staminali, alle stampanti in 3D per realizzare cibi su misura per le proprie esigenze nutrizionali. I cibi coltivati in laboratorio sono infatti relativamente semplici da realizzare: basta far riprodurre le cellule staminali in coltura, fornendo loro i nutrienti necessari in condizioni controllate (che peraltro eliminano la necessità di usare antibiotici per evitare contaminazioni e di fatto azzerano gli sprechi di produzione).

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Oggi un burger di carne coltivata costa ancora sui 150-200 dollari e il gusto è migliorabile (si sta lavorando su staminali che possano dare adipociti, ovvero cellule grasse, per regalare morbidezza e sapore all’hamburger), ma le aspettative sono altissime visto che il business pare potrà valere 25 miliardi di dollari entro il 2030. E si procede anche nel campo delle stampanti alimentari, per venire incontro non solo alle esigenze di cuochi stellati che vogliono stupire con cibi dalle forme insolite, ma soprattutto a quelle di persone con bisogni nutrizionali specifici: alla Nanyang Technological University di Singapore è stato messo a punto un metodo per creare inchiostri alimentari per stampare forme a partire da verdure fresche e congelate, senza aggiunta di additivi.

Potrebbero essere utili a persone con problemi di deglutizione, anche perché con il nuovo metodo si ottengono forme e morbidezza volute, mantenendo però il sapore e i nutrienti. Una soluzione anche per i bambini recalcitranti di fronte a una carota: offrirla sotto le mentite spoglie di un animaletto potrebbe farla apprezzare, con un procedimento più facile che destreggiarsi fra coltelli o frullatori, visto che basterà premere un pulsante.

Batteri e salute. Se nelle cucine del futuro ci saranno stampanti sul bancone e carne “artificiale” in frigorifero, è anche possibile che per mangiare davvero al meglio dovremo fare qualche test di laboratorio in più. Un’innovazione della nutrizione che è già iniziata, come spiega Pasquale Strazzullo, presidente della Società Italiana di Nutrizione Umana (Sinu): «La prossima frontiera è la personalizzazione della dieta. Uno stesso cibo può avere effetti differenti su persone diverse perché ognuno di noi ha un suo distinto genoma che influenza il modo di assimilare gli alimenti; ognuno poi ha un microbiota intestinale, ovvero una popolazione di batteri nell’intestino, specifico e unico. Negli ultimi anni è emerso con chiarezza che la composizione della flora batterica è influenzata moltissimo da ciò che mangiamo, che diventa cibo anche per questi germi intestinali, e che essi a loro volta hanno un impatto fondamentale sulla salute generale».

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I batteri intestinali metabolizzano e trasformano ogni alimento che introduciamo e perciò incidono parecchio sull’effetto di qualsiasi cibo sull’organismo: la sfida del futuro sarà quindi capire chi sono i coinquilini di ognuno di noi e trovare la dieta più giusta per far prosperare le specie batteriche buone, così da restare in salute.

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