Crimini Covid, scordiamoci pure la Nuova Norimberga

Un gran bel ciaone, ai tanti che sognavano una Nuova Norimberga per valutare i crimini commessi grazie all’alibi del Covid. Tre anni d’inferno. Una vera e propria Notte della Repubblica. Se forse poteva essere in parte comprensibile il caos iniziale, con gli inevitabili errori dovuti alla paura e alla fretta, già dopo un paio di mesi si è recitato un plot non esattamente virtuoso: le cure emergevano, ma venivano silenziate una dopo l’altra. A cominciare da quella scoperta dal dottor Giuseppe De Donno: il primo a dimostrare che da quel male, presentato come incurabile, si poteva guarire in poche ore.

Suscitano quindi perplessità e amarezza i contorni della principale indagine condotta, quella di Bergamo: a Conte e Speranza non viene chiesto conto della folle campagna di reclusione scatenata contro i cittadini, terrorizzati a reti unificate fino al parossismo. Al contrario: ci si domanda se i due abbiano fatto abbastanza, per limitare la libertà di circolazione. Gli si offre cioè un assist formidabile: trasformare la loro colpa in un merito. Hanno rinchiuso in casa senza validi motivi sessanta milioni di persone? E hanno fatto bene. Anzi, forse avrebbero potuto essere ancora più duri e spietati.

DA CONTE E DRAGHI IL FESTIVAL DEGLI ORRORI

Già nella primavera 2020, alcuni tra i maggiori infettivologi a livello mondiale – quelli che in Africa avevano affrontato l’Ebola – chiarirono, con la Great Barrington Declaration, che il lockdown non poteva essere una soluzione. La tesi: meglio lasciar “correre” il virus, in modo da raggiungere l’immunità di gregge, limitandosi a tenere al sicuro gli anziani e i malati (ma senza imporre, in ogni caso, nessuna restrizione). Fu chiaro da subito che sarebbero rimasti inascoltati. Uno dei loro seguaci, Eric Clapton, fu quasi linciato dai colleghi: il mondo della musica, così importante nell’orientare i giovani, è stato uno dei baluardi dell’ortodossia. Vietato ribellarsi: zitti e buoni, tutti quanti.

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Viene da domandarsi se sia stato più scandaloso Conte, nel terremotare il paese sospendendo i diritti democratici e disastrando l’economia, o non invece Draghi, deciso a prolungare l’agonia civile oltre ogni ragionevole decenza. “Se non ti vaccini, muori”, arrivò a dire. Perché nessuno gliene chiede conto? Era tutto falso, dunque anche pericoloso. I misteriosi sieri C-19 non sono vaccini, non limitano il contagio, non proteggono dal Covid chi li assume. Peggio: sono sospettati di causare reazioni avverse anche gravissime, inclusa la “sindrome da morte improvvisa” che starebbe alterando in modo inquietante le statistiche sulla mortalità ordinaria.

PEGGIO IL LOCKDOWN O IL GREEN PASS?

Forse servirebbe un criminologo, più che un politologo: come pesare le eventuali differenze tra le malefatte di Conte e quelle di Draghi? Una distinzione forse può essere questa: lockdown e coprifuoco erano misure ovviamente abnormi, però a carattere temporaneo e imposte comunque all’intera popolazione, senza eccezioni. Il Green Pass, invece, ha introdotto il veleno della discriminazione permanente: Draghi ha impedito alle persone di vivere, viaggiare, lavorare. Bastava rifiutare il lasciapassare verde, per non poter più mettere piede neppure in banca, in municipio e all’ufficio postale. Cos’è peggio, gli arresti domiciliari o l’apartheid?

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E’ stato il governo Draghi a far cacciare dalla polizia Nunzia Alessandra Schilirò, vicequestore di Roma, che aveva osato opporsi – in nome della Costituzione – all’imposizione del Green Pass. Sempre Draghi, non Conte, di lì a poco avrebbe fatto spazzare via Stefano Puzzer, con gli idranti, dal molo di Trieste: insopportabile, la protesta democratica dei portuali. E se l’Italia intera avesse seguito il loro esempio? Atti di coraggio civile che andavano stroncati sul nascere: colpirne uno per educarne cento.

TACHIPIRINA E VIGILE ATTESA, IL CAPOLAVORO DI SPERANZA

Nella loro gara verso il peggio, Conte e Draghi vengono però surclassati dal terzo incomodo, l’inamovibile ministro Speranza. Lui sì, vince facile: il più arcigno “carceriere” degli italiani, il nemico più irriducibile di qualunque soluzione positiva. Colpa sua, del suo ministero, se l’infame non-protocollo “Tachipirina e vigile attesa” (utile solo ad aggravare le condizioni dei pazienti) ha tenuto banco per tanto tempo. “Serviva” a gonfiare gli ospedali fino a farli collassare, moltiplicando il panico.

Da più parti piove la stessa accusa: troppi malati sono stati ricoverati fuori tempo massimo, quando ormai era troppo tardi. Ecco spiegato l’alto numero di decessi, su cui avrebbe pesato – almeno nei primi mesi – anche l’aver dissuaso i medici dall’eseguire autopsie: cosa che avrebbe permesso di distinguere tra polmonite e trombosi, somministrando eparina anziché ossigeno. A monte, il più delle volte, sarebbe bastato garantire opportune terapie domiciliari: efficacissime e risolutive, purché tempestive.

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TERAPIE DOMICILIARI NEGATE: PER IMPORRE I SIERI

Proprio questo aspetto rende ancora più critica la posizione di Draghi: se nel 2020 era ancora pensabile che certe terapie potessero essere trascurate, in quanto non ancora sufficientemente note, nel 2021 le cure precoci erano ormai una prassi, da parte dei migliori medici. Peccato che Draghi abbia fatto in modo in modo che venissero sospesi dal servizio proprio loro, in quanto decisi a non sottoporsi alla vessazione sierologica.

E qui si tocca esattamente il cuore del problema. Se le terapie domiciliari fossero state sdoganate, è ragionevole pensare che il bilancio delle vittime si sarebbe sensibilmente ridotto. E soprattutto: riconoscendo la validità delle cure, non sarebbe mai stato possibile autorizzare con procedura d’emergenza la distribuzione dei sieri sperimentali. Questi sì, che possono essere considerati crimini. Altro che le tardive zone rosse in val Seriana.

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