La storia va riscritta: solo in 3 sugli 8mila

La voce circolava da tempo: si diceva che il cronista tedesco Eberhard Jurgalski, autore del sito web 8000ers.com, stesse pubblicando i frutti di una ricerca decennale che avrebbe cambiato la storia dell’alpinismo delle alte quote. Oggi questi risultati sono pubblici: secondo i dati di Jurgalski, sono solo tre gli alpinisti che hanno scalato i cosiddetti ottomila, raggiungendo cioè il punto più alto delle 14 vette del Pianeta che superano gli 8.000 metri sopra il livello del mare (ricordiamo che ce ne sono altre 7 che però non sono considerate cime da salire).

Il primo uomo di questa nuova lista è lo statunitense Ed Viesturs. Sia lui che il secondo della lista –  il finlandese Veikka Gustafsson, che ha arrampicato molte volte con il primo – hanno raggiunto tutte le cime senza ossigeno supplementare. Il terzo risulta essere il nepalese Nirmal Purja, mentre grande assente è Reinhold Messner, che è sempre stato considerato il primo scalatore ad avere completato tutti i 14 ottomila nel 1986.

Ed Viesturs, il primo uomo ad aver salito tutti i quattordici 8.000 senza ossigeno ed arrivando sulla vetta più alta
L’americano Ed Viesturs: secondo i calcoli di 8000ers.com, è il primo uomo ad aver salito tutti i 14 ottomila, senza ossigeno e arrivando sulla vetta più alta.

REVISIONE TOTALE. Il lavoro è stato realizzato da un gruppo di alpinisti che comprende scalatori di valore (da Rodolphe Popier a Tobias Pantel, da Damien Gildea all’italiano Federico Bernardi, fino a Bob Schelfhout e Thaneswar Guragai, per citare alcuni nomi importanti per il mondo dell’alpinismo). Sono stati visionati immagini, racconti e dati forniti dagli alpinisti che hanno dichiarato di avere raggiunto le 14 cime. In particolare il lavoro si è concentrato sulle vette del Broad Peak (conosciuto in passato come K3), Dhaulagiri, Annapurna e Manaslu, che risultano essere le più difficili da raggiungere a causa delle numerose sottocime che circondano quella principale.

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Jurgalski ha presentato il lavoro su Facebook, dove ha spiegato che alcuni alpinisti, come Purja, sono tornati sulle montagne di cui non avevano raggiunto la cima principale ma solo cime inferiori per “correggere l’errore”: alcuni si sono rifiutati di riconscere la nuova revisione, mentre altri l’hanno semplicemente ignorata. «La maggior parte degli alpinisti non vuole accettare le correzioni, perché pensano alla loro reputazione», spiega Jurgalski. Lo stesso Reinhold Messner ha respinto questo nuova versione dei fatti.

La cima e la vetta del Manaslu visti da un drone nel 2021. Come si vede molti preferiscono rimanere a pochi metri dalla vetta senza raggiungerla.

La cima e la vetta del Manaslu visti da un drone nel 2021. Come si vede molti preferiscono rimanere a pochi metri dalla vetta senza raggiungerla. La nuova revisione tiene conto solo del raggiungimento del punto più alto della cima da conquistare. © Jackson Groves

E LE DONNE? A conti fatti, inoltre, risulta che nessuna donna abbia salito tutti i 14 ottomila. Nives Meroi – l’alpinista italiana che insieme al marito Rodmano Benet avrebbe raggiunto, secondo il “vecchio” sistema di accertamento, tutti gli ottomila – sottolinea in un’intervista a Explorersweb: «Jurgalski ha ragione. La vetta è un punto geografico preciso e indiscutibile e il suo lavoro riguarda proprio questo fatto. Non è una valutazione etica delle salite, di come sei arrivato in cima e di quali mezzi hai utilizzato. L’unico parametro misurato è se qualcuno ha raggiunto la cima o meno, non come ci è arrivato».

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Meroi è tornata sia sul Shishapangma che sul Dhaulagiri dopo aver scoperto di non aver raggiunto il punto più alto possibile, ma dopo aver avuto le prove di non essere arrivata in cima nemmeno al Manaslu, ha dichiarato di non volerci riprovare, visto anche l’affollamento di scalatori attorno a questo massiccio.

L’alpinista italiana Nives Meroi: insieme al marito Romano Benet, anch’egli alpinista, ha scalato tutti i 14 ottomila, senza l’uso di ossigeno supplementare né portatori d’alta quota, prima coppia in assoluto a riuscire nell’impresa. Secondo la nuova revisione, però, non le avrebbe raggiunte. © Nives Meroi

Un DATABASE CON UNA MARCIA IN PIù. «Se Elizabeth Hawley avesse avuto in mano i nostri dati, anche lei non avrebbe certificato la conquista di molte cime. Ora dobbiamo correggere noi quegli errori come cronisti indipendenti e affidabili», ha detto Jurgalski. L’americana Hawley (scomparsa nel 2018) è la fondatrice dell’Himalayan Database, la più grande raccolta dati su tutto ciò che è avvenuto sulle montagne dell’Himalaya dal 1905. Come raccoglieva le informazioni? Intervistando gli alpinisti che riferivano come avevano raggiunto la cima e che cosa avevano visto una volta arrivati: stando alle loro dichiarazioni, era lei a validare la conquista o meno.

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Tra il lavoro di Hawley e quello di Jurgalski c’è un’importante differenza: Hawley basava il suo giudizio esclusivamente sulle dichiarazioni degli scalatori, mentre il team di 8000ers.com ha soprattutto visionato fotografie e altro materiale per avere una visione più completa e oggettiva. Tutti questi nuovi calcoli, che detronizzano molti scalatori e riscrivino la storia dell’alpinismo, hanno attirato numerose critiche dalle quali però Jurgalski si difende, con alla mano dati oggettivi e immagini.

Fonte: focus

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