Un test per riconoscere l’odore del Parkinson

Quando Joy Milne passeggia per una strada affollata, riesce a capire se il passante che ha appena urtato è affetto da malattia di Parkinson. Milne è un’infermiera scozzese in pensione che grazie a un olfatto fuori dal comune può avvertire l’odore tipico di questa malattia neurodegenerativa molto tempo prima che insorgano i sintomi. Ha messo questa sua capacità a disposizione della scienza: insieme a lei un team di ricercatori dell’Università di Manchester ha creato un test non invasivo che riconosce la malattia in soli tre minuti, e che si spera possa presto essere usato in ambito clinico.

Campanello d’allarme. I “superpoteri” di Milne sono stati protagonisti di una difficile vicenda personale. Quando il marito della donna aveva 33 anni Milne notò che la sua pelle aveva iniziato ad emanare un odore nuovo e pungente, quasi muschiato, soprattutto nella zona attorno alle spalle e dietro al collo. Dodici anni dopo all’uomo venne diagnosticata la malattia di Parkinson. La donna ricollegò le due cose soltanto quando, frequentando un gruppo di supporto per malati e famiglie, avvertì quello stesso odore negli altri pazienti (delle capacità di Milne e dei primi sviluppi della vicenda avevamo scritto qui).

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La firma della malattia. Negli anni successivi Joy aveva iniziato a collaborare con alcuni biotecnologi e chimici delle Università di Edimburgo e di Manchester, che nel 2019 erano finalmente riusciti a individuare le molecole responsabili di quell’odore, alcune delle quali presenti solamente nelle persone con Parkinson. Ora quel gruppo di lavoro, con la supervisione di Milne, ha sviluppato un semplice test – un tampone da passare sulla pelle – che sembrerebbe distinguere con il 95% di efficacia i casi di Parkinson in persone in attesa di diagnosi.

La risposta passa per l’analisi del sebo, la sostanza oleosa naturalmente prodotta dalla pelle che si pensa subisca alterazioni chimiche in chi è affetto da questa malattia. Lo si raccoglie dal retro del collo e dalla schiena del paziente, un’area che di solito si lava meno spesso, e poi lo si analizza con una tecnica chiamata spettrometria di massa, che “dà un nome” alle molecole specifiche all’interno del campione. Confrontando il sebo di 79 persone con Parkinson con quello di 71 persone sane si è visto che nei primi c’erano 500 molecole uniche, caratteristiche della malattia.

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Tempo prezioso. Gli scienziati sono ora nella delicata fase di validazione del test e di trasferimento delle conoscenze in ambito clinico. La speranza è di arrivare a uno strumento di diagnosi utilizzabile in primo luogo negli ospedali e dai medici di base di Manchester – per ulteriori conferme di efficacia – entro un paio d’anni. Attualmente non esiste un singolo esame specifico per riconoscere la malattia di Parkinson: i medici fanno diagnosi soprattutto osservando i sintomi, spesso dopo mesi o anni dal loro inizio.

Allo stato attuale non c’è una cura per questa malattia, ma esistono strumenti, farmacologici e non solo, per alleviare i sintomi e restituire una migliore qualità di vita ai pazienti e alle famiglie. Il movimento e alcuni cambiamenti dell’alimentazione possono per esempio essere di aiuto, e altrettanto fondamentale sarebbe ottenere un supporto psicologico.

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Fare la differenza. Milne e i ricercatori sperano che il loro test possa essere d’aiuto. Il marito della donna è morto nel 2015, dopo una vita spesa – prima da medico e poi da paziente – a indagare la relazione tra il Parkinson e i suoi marcatori olfattivi. Ora Milne sta collaborando con altri gruppi di scienziati per capire se anche altre patologie (come la tubercolosi o certi tipi di tumori) abbiano una firma odorosa caratteristica, che solo alcuni con recettori superdotati sono in grado di percepire.

Fonte: focus

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