Declassati per perdita di biodiversità

Ogni specie vivente ha una storia evolutiva unica e irripetibile. La biodiversità ha perciò un valore intrinseco, è cioè importante di per sé; ma ha anche un valore economico concreto perché fornisce all’uomo servizi ecosistemici (come la produzione di cibo, legname e altre risorse, o la regolazione dei raccolti, del clima e delle maree).

La distruzione di habitat e di viventi a cui stiamo assistendo ha quindi pesanti ricadute economiche – talmente profonde che, secondo gli autori di uno studio su biodiversità e finanza, bisognerebbe tenerne conto persino nelle valutazioni delle agenzie di rating.

Un parametro importante. Un team di economisti dell’Università di Cambridge ha dimostrato per la prima volta che, se le valutazioni di Fitch, Standard & Poor’s e simili si basassero anche sui rischi economici legati alla perdita di biodiversità, molti Paesi perderebbero affidabilità finanziaria e finirebbero declassati.

Il rating sovrano, o semplicemente rating, è la valutazione della capacità degli Stati (debitori per eccellenza) di ripagare il debito pubblico, rimborsando cioè chi ha acquistato titoli di stato (gli strumenti emessi dai governi per far fronte alle esigenze finanziarie di un Paese). Le agenzie di rating – le principali sono Fitch Investors Service, Moody’s e Standard & Poor’s – si occupano della valutazione della solidità economica e della solvibilità delle società o degli Stati.

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Di solito su queste valutazioni pesa il rischio finanziario degli eventi geopolitici in corso. Per il momento in questi calcoli non sono incluse invece le conseguenze economiche del degrado ecologico. Secondo il gruppo di Cambridge che ha collaborato con le Università dell’East Anglia, di Sheffield Hallam, e SOAS University of London, si tratta di un’omissione grave che potrebbe minare la stabilità dei mercati finanziari.

A scapito dei cittadini. Da un lato infatti, chi investe nei titoli di stato di un Paese la cui biodiversità sia fortemente a rischio non ha attualmente gli strumenti adatti per soppesare il rischio della sua “scommessa”; dall’altro, «siccome la perdita di natura riduce le performance economiche, diverrà sempre più difficile per i Paesi onorare il loro debito e si finirà per gravare sui budget dei governi, aumentando le tasse, il taglio della spesa pubblica e l’inflazione» spiega Matthew Agarwala, primo autore dello studio.

Che cosa accadrebbe se… Nelle nuove simulazioni computazionali il team ha tenuto conto della possibilità di un collasso parziale degli ecosistemi ittici, della produzione di legname tropicale e degli impollinatori selvatici, tutti scenari ritenuti possibili dati i trend attuali e già simulati dalla Banca Mondiale, l’istituto di credito internazionale che finanzia l’investimento nei Paesi in via di sviluppo.

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Date queste premesse, sono stati calcolati i rating di 26 Paesi in tre diversi scenari; un’interruzione della perdita di biodiversità, uno scenario “business as usual” in cui la distruzione prosegue ai ritmi attuali (46 milioni di ettari di natura selvaggia in meno entro il 2030) e un terzo scenario in cui gli ecosistemi considerati arrivano a un sostanziale tracollo, con una riduzione del 90% dei servizi ecosistemici nella pesca, nell’impollinazione selvatica e nella produzione di legname nei Paesi tropicali fortemente deforestati.

Economie provate. Se nulla cambiasse rispetto a ora, 4 Paesi (India, Bangladesh, Cina e Indonesia) rischierebbero di scendere di uno o due livelli da qui al 2030. Se si arrivasse allo scenario più critico, oltre la metà dei 26 Paesi scenderebbe di rating e un terzo di essi perderebbe più di tre livelli. La Cina potrebbe essere declassata di sei, generando di conseguenza un aumento annuale degli interessi di oltre 18 miliardi di dollari; la Malesia, le cui foreste scompaiono mangiate dalle piantagioni di palme da olio, arretrerebbe di sette livelli; India, Bangladesh e Indonesia ne perderebbero 4. Dodici Paesi su 26 vedrebbero aumentare il loro rischio di bancarotta di oltre il 10% (soprattutto Bangladesh, Etiopia e India). Sei, tra cui Pakistan e Madagascar, andrebbero verso il default se i loro ecosistemi collassassero.

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Meglio agire ora. «Incorporare il rischio connesso alla perdita di natura nei rating sovrani creerebbe un forte incentivo per i governi ad aumentare la protezione ambientale» scrivono gli autori. «I Paesi in via di sviluppo sono già afflitti dal peso paralizzante dei debiti dovuti alla CoViD-19 e dall’aumento dei prezzi, e la perdita di natura li spingerà vicino al limite» continua Patrycja Klusak, tra i firmatari dello studio.

«Le economie che contano sugli ecosistemi naturali devono fare una scelta: pagare ora, investendo in natura, o pagare in futuro affrontando costi più alti sui prestiti e un debito vertiginoso» conclude Matt Burke, un altro autore. «L’opzione paga ora genera ritorni economici a lungo termine per le persone, le imprese e la naura stessa. L’opzione paga più tardi comporta rischi di svantaggi significativi e pochi o nessun vantaggio».

Fonte: focus

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